Un’accusa di doping, una squalifica da scontare e una nuova società: tutto ciò ha vissuto Fabio Lucioni in poco più di un anno

Fabio Lucioni su Morosini: «Un sorriso spento troppo presto»

Un’accusa di doping, una squalifica da scontare e una nuova società: tutto ciò ha vissuto Fabio Lucioni in poco più di un anno. Nella scorsa stagione ha esordito in Serie A, all’età di 29 anni, ma dopo sole 5 giornate di campionato l’ex difensore centrale del Benevento è stato costretto a fermarsi perché positivo al Clostebol. Il TNA (Tribunale Nazionale Antidoping) lo ha condannato a un anno di squalifica, nonostante il medico sociale dei sanniti, Walter Giorgione, si fosse assunto la responsabilità dell’errore.

In estate il Lecce ha puntato su di lui, prelevandolo dal club campano a titolo gratuito. E il caso ha voluto che la carriera di Lucioni ripartisse proprio dallo stadio che gli ha regalato la gioia della massima serie nazionale, il Ciro Vigorito, indossando sempre una maglia giallorossa, ma questa volta da ospite (Benevento-Lecce dello scorso 27 agosto, terminata 3-3). Giusto il tempo di giocare la prima in casa contro la Salernitana, per poi subire un nuovo stop. Ora è pronto a scendere in campo: nuovo esordio, nuova vita, raccontata ai microfoni della nostra Fondazione.

Fabio, dopo quattro anni trascorsi a Benevento, hai vissuto un controverso caso di doping: sei stato squalificato nonostante ci sia stata l’ammissione di colpa da parte del medico sociale. Qual è il tuo pensiero a riguardo?

«Non dimenticherò mai gli anni che ho trascorso a Benevento e nessuno potrà mai cancellare questo pezzo di storia, mio e della società. Ho vissuto momenti straordinari, ho conquistato la Serie A per la prima volta, e con la squadra ci siamo tolti tantissime soddisfazioni. Quindi posso dire con certezza che la squalifica ha solo leggermente condizionato quest’avventura ma a Benevento sono stato molto bene, ho gioito e vinto. E porterò per sempre con me questa esperienza».

La tua squalifica rappresenta un caso abbastanza insolito perché sei stato costretto ad abbandonare i campi da calcio pur non avendo responsabilità. Secondo te è necessario rivedere anche le regole sul doping?

«Non credo serva riscrivere le regole sul doping, vanno bene quelle che esistono oggi. Tuttavia penso che debba essere riservata maggiore attenzione ai singoli casi, studiando bene situazione per situazione, sia perché ogni caso può essere più o meno complesso, sia perché non tutte le vicende possono essere accomunate tra loro. Nello specifico, posso dire che il mio caso è diverso dagli altri perché purtroppo ho pagato anche per responsabilità non mie, ma il consiglio generale che posso offrire ai miei colleghi è quello di rispettare sempre e comunque i valori dello sport».

Parlando invece della Fondazione, noi promuoviamo da anni il Passaporto Ematico (intitolato ad Andrea Fortunato, Flavio Falzetti e Piermario Morosini), che intende far eseguire i controlli ematici a partire dai 6 anni di età affinché si ottenga l’idoneità sportiva. Cosa pensi dell’iniziativa?

«Ne sono a conoscenza da diversi anni e credo che il vostro impegno finalizzato a salvaguardare la salute di tutti gli sportivi sia soltanto da elogiare. Credo sia un’ottima iniziativa promuovere valori come la prevenzione, soprattutto nel nostro campo. Così come credo sia stata una bellissima idea intitolarla a quei tre miei colleghi che purtroppo oggi non ci sono più. Ho conosciuto Piermario Morosini soltanto da avversario, l’ho visto in campo e ricorderò per sempre il suo sorriso che si è spento troppo presto».

Un augurio per il tuo futuro?

«Adesso penso al presente, ho appena girato pagina e mi sento carico per questa nuova avventura con il Lecce. Un giorno, spero presto, mi auguro di tornare a giocare in Serie A. Credo sia il sogno di tutti gli sportivi giocare ai massimi livelli e questo resta il mio obiettivo per il futuro».

Giovanni Calenda